martedì 28 maggio 2013

DENTRO LA STRISCIA / Viaggio in Palestina e Israele (2a parte)

VENERDI' 26 APRILE

E’ il grande giorno: si va a Gaza! Credo che l’opportunità di entrare nella Striscia di Gaza e proprio a Gaza City sia stata la vera molla che abbia spinto tutti noi ad aderire a questa “missione” … almeno lo è stato per me.
Valico di Erez
Alle 8.30 l’impeccabile Mahmoud ci aspetta per la partenza già in strada col suo pulmino, lasciamo il grosso dei bagagli in hotel e riempiamo gli zaini con lo stretto necessario per i prossimi due giorni e mezzo. Arriviamo così al fatidico Valico di Erez, dove un piccolo pallone aerostatico con telecamera annessa controlla a 360° dall'alto la zona e ci dà il “benvenuto” … siamo attesi. Il check-point di Erez sembra un vero e proprio aeroporto, per mole e funzionalità. Appena fuori ri-incontriamo Dario, insieme alla sorella Silvia col fidanzato Marco, anche loro in “visita” per poi proseguire insieme in Egitto. Diamo l’arrivederci a Mahmoud e Dario ci dà tutte le indicazioni del caso, ci spiega le procedure e i comportamenti da tenere, prende tutti i nostri passaporti e approccia il gabbiotto d’ingresso. Pur in possesso di tutti i permessi, non è affatto detto che venga concesso il passaggio e questo avviene soprattutto in momenti particolarmente “caldi”. Una signora palestinese accompagnata dal marito viene infatti “rimbalzata” appena prima di noi; lui ci spiega che in questi casi (non rari) e anche senza nessuna specifica motivazione, semplicemente bisogna rassegnarsi e tornare giocoforza indietro. Noi passiamo: controllo passaporto, controllo bagagli, mini intervista sulle motivazioni del nostro ingresso nella Striscia, tutto come da prassi.
Passaggio nella Striscia
Da lì imbocchiamo un tunnel di superficie tutto ingabbiato che si estende per circa un chilometro. Qui davvero ci sentiamo pesantemente e costantemente sorvegliati a distanza (non fosse altro per le numerose telecamere sopra di noi lungo tutto il tragitto) e scattiamo qualche foto con rigorosa discrezione. Percorrendo il tunnel ci lasciamo alle spalle l’imponente Valico di Erez e molto repentinamente cambia il paesaggio intorno a noi … e non in meglio. Alle nostre spalle diventano sempre più visibili il lunghissimo muro e le torrette di controllo israeliane … stiamo entrando nella Striscia di Gaza.
Alla fine del percorso giungiamo al primo dei check-points palestinesi, gestito da Al Fatah, di tutt'altra portata rispetto all'imponente valico israeliano; ha più che altro le sembianze di un piccolo cascinale, ma provvisto di baretto dove mi spingo, vista l’attesa, a prendermi un bel bicchiere di caffè locale (caffè turco) seguito da quasi tutto il gruppo. L’aroma di cardamomo ci inebria e l’impatto con la gente palestinese è dei migliori, tutti sono gentili, ci salutano o ricambiano il nostro saluto e TUTTI indistintamente non mancano (e non mancheranno nei due giorni a seguire) nel darci il loro consueto “Welcome in Palestine!
Montiamo a gruppi di 4/5 su dei taxi e percorriamo lungo la strada polverosa un altro chilometro scarso che ci separa dal terzo ed ultimo check-point, quello gestito da Hamas, ancora più sui generis del precedente, dove ci accoglie in pompa magna quello che poi scopriamo essere il Mukhtar (capovillaggio) di Um Al Nasser, il contiguo villaggio dove ci recheremo l’indomani per la visita al primo centro realizzato da VDT. Sbrigati i consueti controlli montiamo su un vero e proprio bus di linea che ci attende e si uniscono al gruppo Fatima (giovane direttrice del Centro per l’Infanzia), suo fratello, Nahed (la assistente sociale) e l’ingegnere Abu Karim (che ha seguito i lavori del Centro) i quali ci accompagneranno passo passo in tutta la nostra permanenza nella Striscia.
Siamo ufficialmente all'interno della Striscia! … come ho letto da qualche parte: “La più grande prigione del mondo” :(
Il Bus parte addentrandoci in uno scenario che si fa via via sempre più desolato e dove ben visibili sono i segni del disagio, le bombe e ogni altra sorta di ordigno caduto dal cielo e non solo. La nostra presenza non passa ovviamente inosservata, complice il bus “turistico” sul quale viaggiamo e, credo, la non abitudine dei locali a ricevere visite; fatto sta che tutti immancabilmente ci seguono con lo sguardo al nostro passaggio. Noi salutiamo tutti dal bus e tutti ricambiano il saluto.
Raggiungiamo il nostro Beach Hotel – Orient House, a conti fatti un Hotel di discreto lusso con camera provvista di ogni comfort e vista mare direttamente sulla spiaggia! Sinceramente non era quello che mi aspettavo venendo a Gaza : ) Sulla parte alta della facciata esterna, però, anche l’Hotel porta i segni delle ostilità con dei vetri rotti e alcuni fori nel muro. Il tempo di poggiare lo zaino e darsi una rinfrescata che ci ritroviamo già all'entrata per dare il via alla nostra agenda piena di impegni. Altri “internazionali” prima di noi sono stati qui, altri ne arriveranno, ma dentro di me (e credo anche in tutti gli altri del gruppo) aleggia una particolare eccitazione, una sorta di spirito pioniere che mi inorgoglisce e a allo stesso tempo mi emoziona.
Stadio di Gaza City
La prima tappa, quasi immediata, è allo Stadio di Gaza City, o meglio, quello che ne rimane dopo il bombardamento israeliano del novembre 2012 … ovvero un cumulo di macerie. Camminiamo su calcinacci, detriti, cancellate divelte e quant'altro fin dentro al “campo di gioco” e fino al cospetto di un enorme cratere che si apre davanti ai nostri piedi, presumibilmente il punto di impatto di una bomba o missile. Lo scenario è deprimente.
Rimontiamo comunque sul bus e, anche se lo “spettacolo” appena visto non agevola, ci fermiamo al ristorante Thailandi dove, a dispetto del nome, servono esclusivamente i consueti piatti locali e dove io mi butto senza indugio su un sacrosanto shawarma. Davanti al cibo viviamo un bel momento di convivialità, il nostro gruppo si cementa ulteriormente anche grazie ai nostri amici palestinesi che conosciamo un po’ meglio sfruttando l’inglese, quando possibile, che comunque è molto diffuso anche e soprattutto tra i più giovani. Io per non sbagliare e per meglio immedesimarmi comincio a impratichirmi anche con l’Arabo : ) Anche i giovani camerieri, molto modaioli, mostrano molto interesse e ci scattano delle foto.
Finito di pranzare percorriamo in bus la Striscia lungo le vie interne passando per Jabalya, il campo profughi più grande e che all'atto pratico è oggi un vero e proprio villaggio che conta circa 170.000 abitanti. Raggiungiamo l’estremo sud arrivando a Rafah e all'omonimo valico, frontiera internazionale con l’Egitto. La zona è da sempre comprensibilmente “calda”, nonché teatro dei numerosi tunnel sotterranei lungo i quali passa clandestinamente ogni sorta di mercanzia, materiale da costruzione e bene di sostentamento (si dice perfino interi camion!) e le cui uscite in superficie vengono agghindate a serre e vivai. Scendiamo quindi solo pochissimi minuti per qualche foto veloce, ma sufficienti affinché intorno a noi si raduni una folla festante di bambini dai quali veniamo magicamente circondati senza quasi accorgerci. Li salutiamo e battiamo il “5” (forma di saluto molto in voga soprattutto tra i bambini i quali rispondono sempre molto energicamente : ) ) e riguadagniamo il bus quando la folla è diventata ormai quasi un corteo che ci saluta gioioso rincorrendoci mentre ci allontaniamo.
Altra circostanza che ci balza all'occhio è come all'interno delle comunità arabo/beduine/palestinesi la presenza di bambini e in generale di giovani fino ai 20 anni sia nettamente preponderante. Automaticamente ci si chiede che sviluppi potrà mai avere un tale contesto nel quale un popolo viene sempre più segregato territorialmente mentre, un po’ in diretta risposta e un po’ per esigenza, questo di pari passo aumenti esponenzialmente di numero.
In spiaggia
Da Rafah risaliamo la Striscia questa volta lungo la costa e qui, ancora, veniamo favorevolmente sorpresi: è venerdì, l’equivalente musulmana della nostra domenica, e tutto il lungo mare, all'approssimarsi del tramonto, è frequentato da bambini, ragazzi e intere famiglie in tranquilla villeggiatura e relax, chi a piedi, chi in moto, chi a cavallo o persino in cammello! Una scena che ci solleva e stupisce, visto il contesto, rinfrancandoci delle tante brutture che attanagliano quest’area di mondo e dello spirito nonostante tutto propositivo dei suoi abitanti. Ci fermiamo anche noi per fare due passi sulla spiaggia e mi unisco ad alcuni ragazzini a dar due calci a un pallone … sgonfio! :) Tutti sono ben lieti della nostra presenza: l’apparente reticenza e (comprensibile) diffidenza iniziale della gente arabo/palestinese appare in tutti (bambini compresi) più come una riguardosa timidezza che si scioglie immediatamente come neve al sole al solo tendere una mano in segno di saluto trasformandosi in totale apertura, brama di conoscenza e di rapporti umani regalando grandi sorrisi e disponibilità.
Tramonto nella Striscia
Sostiamo al ristorante/bar "Haifa" per bere dei corposi succhi di frutta e per rilassarci facendo qualche tiro al narghilè. Il contesto è da mille e una notte: ampio spazio/terrazzone coperto con finestrone 180° direttamente sul Mare Mediterraneo al tramonto. Il sole sparisce rapido sotto la linea dell’orizzonte e ancora una volta stento a realizzare dove realmente sono, immaginando i nostri parenti ed amici a casa magari preoccupati e in apprensione per le nostre sorti : )
In Hotel ci buttiamo in doccia per poi uscire rigorosamente in gruppo tutti insieme e raggiungere una pescheria conosciuta da Dario dove ceniamo direi lucullianamente ovviamente a base di pesce. Per quel breve percorso che separa l’Hotel dalla pescheria la nostra “estraneità” è evidente e siamo l’attrazione di tutti. Ma anche qui è una curiosità più che altro divertita, ricca di saluti e sorrisi. Qualche momento di empasse per qualcuno di noi nell'udire quelli che sembrano degli spari ripetuti per poi realizzare (tranquillizzandoci) che altro non sono che fuochi d'artificio celebrativi per festeggiare i numerosi matrimoni che si tengono nei locali del lungomare ... alla faccia dell’embargo e della segregazione! : ) Mentre mangiamo alla pescheria la luce va via un paio di volte, ma Dario dice che da queste parti è normale che accada.


SABATO 27 APRILE

Sempre di buon mattino montiamo sul bus e ci rechiamo a Um Al Nasser, villaggio beduino proprio a ridosso della Buffer Zone (area cuscinetto non meglio definita tra i territori Palestinesi e i confini israeliani), dove visitiamo il primo dei progetti di VDT, il Centro per l’Infanzia anch'esso oggetto nei mesi passati di un bombardamento che l’ha risparmiato per solo una manciata di metri.
Col Mukhtar di Um Al Nasser
La nostra delegazione viene prima ufficialmente convocata presso il “Municipio” dove ci dà il benvenuto il Mukhtar  (che già ci aveva accolti al check-point il giorno prima) con tutta la sua “squadra”. Ci sediamo in circolo in uno stanzone e ci presentiamo uno ad uno spiluccando salatini.  Il Mukhtar non parla inglese e il suo più stretto collaboratore traduce le sue parole cominciando a renderci consapevoli delle condizioni di vita del villaggio e delle mille difficoltà legate oltretutto alla mancanza di acqua (o meglio alla imposta privazione da parte del governo israeliano) e alla necessità di dover “attingere” forzatamente da un limitrofo stagno di acque neredove anche successivamente ci recheremo.
Prima però visitiamo il Centro per l’Infanzia: il nostro bus passa quasi a fatica tra gli stretti sterrati e le baracche del villaggio, soffermandosi e scaricandoci dapprima in aperta campagna proprio al limite della Buffer Zone, oltre il quale, ci dicono, chiunque si incammini è passibile di essere sparato a vista. Il muro e le torrette israeliane sono infatti lì davanti a noi, a solo una manciata scarsa di chilometri. Scendiamo con molta cautela e scattiamo qualche foto in compagnia, manco a dirlo, di un gruppo di ragazzini del villaggio che subito si sono radunati attorno a noi. Trovarsi lì in quel luogo sapendo di essere sorvegliati a (breve) distanza in ogni nostro movimento dà una certa inquietudine e ancor di più pensare che questa è la realtà quotidiana in cui gli abitanti del villaggio (ma tutti i palestinesi) sono costretti a vivere.
Arriviamo al Centro, col portone ancora chiuso, mentre i bambini stanno lavorando all'interno. Qualche altro fuori dalla scuola come di consueto si è già raccolto ai piedi del nostro bus e si avvicina prima circospetto e poi sorridente, salutandoci. Si apre il portone della scuola e ci accoglie Fatima, giovane direttrice già incontrata il giorno prima; all'interno regna inaspettatamente ordine e tranquillità. La scuola è come una piccola corte, una piccola oasi di pace con un patio centrale con qualche gioco e tutt'intorno le aule, i bagni e le altre stanze.
Al Centro per l'Infanzia
Le maestre sono tutte donne e tutte in rigoroso Hijab nero, alcune con una fessura solo per chi occhi altre con l’intero viso scoperto. I bambini sono in fila, ordinati e scrupolosi nelle loro impeccabili uniformi, tenendosi l’uno dietro l’altro e seguendo i dettami delle maestre. Altri sono intenti a lavarsi nei lavandini sempre sotto l’attenta supervisione di un’altra maestra. Inizialmente rimango rispettoso dei “ruoli” e dell’ordine salvaguardato dalle maestre, ma poco dopo mi è impossibile non unirmi ai bimbi per giocare, come del resto tutto il gruppo, e visitare tutto il Centro. In definitiva, non si capisce bene CHI faccia giocare CHI :)
Rimaniamo a lungo al Centro per poi fare una breve visita anche al vicino bacino di acque nere di cui sopra, avvolto da un comprensibile tanfo, e al suo impianto di “depurazione” che altro non è che un sistema di scolo a discesa delle acque in otto vasche naturali di altezza via via decrescente e i cui residui liquidi vengono poi nuovamente sotterrati in un’altra area vicina. Da un lato è ammirevole la dedizione e l’orgoglio con i quali ci viene spiegato il funzionamento dell'impianto, dall'altro è evidente come il lavoro di “depurazione” dell’acqua sia reso abbastanza vano nel lungo periodo dall'ulteriore inquinamento della falda acquifera sottostante. Ma anche in questa circostanza non c’è alternativa :/
Ritorniamo al Centro dove i bambini hanno nel frattempo finito di lavorare e sono tornati a casa, e pranziamo con la specialità tipica locale, ovvero un abbondante e saporito Maqluba; ovviamente le femminucce pranzano in una stanza con tutte le maestre e noi ometti, insieme al Mukhtar e tutti i suoi più stretti collaboratori, in un’altra.
L’agenda giornaliera è ancora densa di appuntamenti, quindi lasciamo il Centro salutando il Mukhtar e qualche bambino che ora ritroviamo a giocare in strada e andiamo in visita ad una famiglia di coltivatori/contadini non lontani, sempre a ridosso della Buffer Zone. Il capofamiglia ci spiega come, anche qui, le condizioni di vita e di lavoro siano molto difficili. Il governo israeliano non permette di coltivare piante di altezza superiore ai 60 cm (anche) per avere una migliore visuale e controllo. Gli stessi ulivi, rigogliosi in quest’area di mondo, vengono meschinamente falciati (quando non bruciati) in tutte le terre arabo/palestinesi, favorendo oltretutto la loro desertificazione. Ovviamente anche qui vige (come dappertutto) il consueto divieto ad inoltrarsi troppo all'interno della stessa Buffer Zone, pena lo sparo a vista. Il problema è che il limite consentito è molto aleatorio e molto a discrezione dell’esercito israeliano, con le conseguenze che si possono immaginare. Tutto questo a meno che questi non decida di entrare direttamente nelle case (solitamente senza bussare né troppi complimenti) come, ci dice sempre il capofamiglia, è avvenuto spesso dal 2001 a questa parte. Qui fu anche attivo Vittorio “Vik” Arrigoni che lui ricorda ovviamente in modo molto riconoscente e appassionato insieme a tutti noi.
E’ pomeriggio inoltrato quando ritorniamo a Gaza City per l’ultimo incontro della giornata, quello con l’Associazione  Pescatori, con cui anche collaborava Vik, anche loro ridotti ai minimi termini dagli embarghi e dai veti israeliani. In particolare a loro non è concesso addentrarsi nelle acque marine oltre le 3 miglia (cifra progressivamente ridotta negli anni in modo totalmente discrezionale da Israele dopo gli Accordi di Oslo senza la ferma opposizione di alcuno stato straniero), distanza palesemente irrisoria al fine di procacciarsi battute di pesca realmente fruttifere. Anche qui il rischio è ovviamente lo sparo a vista da parte delle vedette israeliane che vigilano in mare aperto e negli ultimi anni già diversi pescatori hanno incontrato la morte o sono stati feriti. Il conseguente risultato è che i pescatori e la loro attività sono in ginocchio con la paradossale necessità di importare (in prevalenza dall'Egitto) anche e perfino il pesce!? Ci sembra una storia ormai ricorrente, seppur udita in ambiti diversi. Siamo evidentemente molto stanchi dopo una lunga giornata densa di incontri e spostamenti, dopo aver parlato coi pescatori direttamente al porto ed esserci riuniti in una stanza coi loro rappresentanti sindacali arriva il momento delle foto di gruppo e dei lunghi, sentiti e a tratti emozionanti saluti tra strette di mano, baci e forti abbracci.
Murale per Vik a Gaza
Uscendo dal porto, sul muro all'altro lato della strada proprio di fronte al cancellone d’ingresso campeggia un grande murale raffigurante Vik con Handala; l’anno di morte è barrato e a fianco qualcuno ha scritto al suo posto “ETERNAL”.
Rientriamo all'Hotel per una sacrosanta doccia rigeneratrice e un po’ di relax prima di ritrovarci per la cena. Alla finestra contemplo la spiaggia e il mare sotto di me all'approssimarsi del tramonto quando si affaccia dalla stanza di fianco Gilberto. Rapido consulto e, in barba alle disposizioni interne, decidiamo di scendere e fare due passi in spiaggia. Rientriamo appena in tempo per assistere, nel cortile dell’Hotel, ai festeggiamenti (con consueti spari pirotecnici) per l’ennesimo matrimonio che verrà festeggiato nel salone serale (l'Orient House) e all'arrivo della sposa che, prima di scendere dall'auto, assiste alla Dabka (danza folkloristica popolare maschile) dello sposo insieme agli altri uomini e ai musicisti in abiti tradizionali. Assistere al via vai di invitati che sostano nel cortile è di per sé uno spettacolo e, naturalmente, noi siamo oggetto di simpatica curiosità per i più piccoli, anche loro tutti impeccabili nei loro completi da festa.
Radunati tutti all'orario convenuto, muoviamo sempre in gruppo verso un ristorante vicino, abbastanza chic e sempre a ridosso del mare; un cartello ben visibile all'entrata richiede gentilmente "No weapons please". Cena molto soddisfacente e piacevole serata "defatigantein gruppo. Rientrati all'hotel ci si ferma tutti nel cortile ad assistere ancora al caotico commiato degli invitati alle nozze. Siamo stanchi ma inconsciamente credo nessuno abbia veramente voglia di andare a dormire. L’indomani lasceremo Gaza e, poggiando la testa sul cuscino, un po’ me ne rammarico.

domenica 19 maggio 2013

DENTRO LA STRISCIA / Viaggio in Palestina e Israele (1a parte)

GENESI

Tutto ha inizio a fine gennaio 2013. Una cooperativa locale, solita ad organizzare periodicamente appuntamenti “etnici”, organizza una cena palestinese alla quale prendo parte con gli amici. Lì c’è Serena che ci illustra le attività della ONG Vento di Terra che opera proprio in Palestina e Cisgiordania e ci parla di queste terre tormentate.
(* Sulla Questione Palestinese qui e qui )
Poco più di un mese dopo veniamo a conoscenza che VDT organizza ad aprile un viaggio/missione di una settimana, proprio in visita a questi progetti unito ad un canonico turismo ai “luoghi sacri”. Nel programma è prevista l’entrata in Gaza, un nome che evoca da subito tante brutture sentite o lette solo su tv e giornali ma proprio per questo anche tanto “stimolante”.
Io e l’amico Obe, con cui già stavo paventando una trasferta per i medesimi giorni, ci consultiamo e pressoché immediatamente abbandoniamo i nostri progetti caraibici ancora in fase embrionale aderendo decisamente all’iniziativa, pur con tutte le perplessità che il caso impone; la voglia di toccare con mano, vedere coi nostri occhi, renderci diretti testimoni, per quanto possibile, di quanto finora solo più o meno distrattamente letto e visto sui mass media è decisamente più forte.
VDT svolge tutta la laboriosa burocrazia del caso e alla fine Serena ci annuncia felice via mail “Abbiamo i permessi per Gaza!”.


MERCOLEDI’ 24 APRILE

Partenza da Malpensa alle 22.35 con ELAL, compagnia di bandiera israeliana, e ritrovo alle 19.40 per via dei lunghi controlli e “interviste” di rito, vista la destinazione. Siamo in 15 (oltre me, Obe e Serena ci sono Patrizia, Alberto, Grazia, Gilberto, Rosanna, Laura&Claudio, Paola riminese, Paola milanese, Mariateresa, Maria&Ludovico) e il gruppo è variegato, per età, professioni ed esperienze personali, di viaggio e non. C’è anche chi è già stato in Israele. Nonostante questa varietà, il gruppo si rivelerà poi molto affiatato e funzionale, nonché mosso in toto da uno stesso spirito comune.
I controlli in aeroporto si confermano lunghi e minuziosi e giustificano ampiamente le 3 ore di anticipo sul volo. Solerti funzionari dai modi gentili ci interrogano individualmente seduta stante sui motivi del viaggio, le professioni ecc … ad alcuni di noi vengono già controllati i bagagli, a me (i cui tratti somatici mediterranei e vagamente arabeggianti in questa sede non aiutano) viene fatta firmare una carta con la quale “concedo” (dovendo levare il lucchetto che avevo apposto) il controllo dei miei bagagli in mia assenza (zaino a mano compreso) pena la riserva a permettermi la partenza. Lo zaino mi verrà restituito al gate di imbarco e tutto questo, dicono, “per la MIA sicurezza”(?).
Al gate veniamo sottoposti ad altri controlli e trattenuti nuovamente sotto lo sguardo vigilissimo e intransigente delle gentili funzionarie che non ci staccano gli occhi di dosso controllando perfino se nell’attesa parliamo tra di noi e se ci scambiamo qualsivoglia oggetto. Ci impediscono anche contatti con esterni a questo gruppo “esclusivo”.
Alla fine riusciamo a partire, 4 ore di volo e arriviamo all’aeroporto Ben Gurion di Tel Aviv a notte fonda, intorno le 3.30, dove ci attende Mahmoud che col suo pulmino ci scorazzerà In Israele e Cisgiordania diventando di fatto parte tanto riservata quanto integrante del gruppo.
Guadagniamo le camere e soprattutto i letti presso l’Hotel Victoria a Gerusalemme Est (Al-Quds in arabo) quando sono già intorno le 5 per una meritata e corposa dormita di ben … 4 ore!


GIOVEDI’ 25 APRILE

In Italia si festeggia la Liberazione e la Resistenza, parola quest'ultima che da queste parti, ahimè, mi sembra assumere ancora la sua più autentica e soprattutto tangibile valenza. Sveglia, colazione e partenza a piedi per un primo giorno di “conoscenza” di Gerusalemme. Il clima è e rimarrà sempre bellissimo, ideale, costantemente soleggiato, pure troppo (a tratti mi lacrimano gli occhi per la rifrazione della luce sugli edifici rigorosamente in pietra chiara), cielo perennemente sgombro da nuvole (ne conterò forse un paio per tutta la durata del viaggio) ma anche ventilato e quindi non umido. Ci cospargiamo preventivamente con un po’ di crema solare.
Porta di Damasco
Raggiungiamo la Porta di Damasco e da lì entriamo direttamente nel Suq Arabo (o souk che dir si voglia) che percorriamo in toto anche lungo la Via Dolorosa e le sue stazioni della Via Crucis (c’è anche chi la percorre con croci in spalla! :/) fino a sfociare al Cardo Romano (sti romani sono arrivati davvero dappertutto!) e nel quartiere ebraico culminante nella moderna Sinagoga Beit Yakoov. Subito ci pare lampante la differenza di mondi confinanti, anzi, s-confinanti tra loro: il suq arabo col suo dedalo caotico di vie e viuzze, bancarelle e merce di ogni genere (nessuno mai è però insistente o vagamente molesto) e pochi metri al di fuori di questo l’ordine, la fioritura e il florilegio di bandiere con la stella di David del quartiere ebraico. Questo contrasto ci sarà visibile per tutto il nostro viaggio anche se in contesti diversi. Lo spaesamento unito all’emergente sensazione (a tratti poi quasi tangibile) di essere sempre e comunque sorvegliati, deve essere palese sui nostri volti, tanto che un simpatico signorotto barbuto che ci passa di fianco ci esorta simpaticamente a sorridere.
Muro del pianto (Kotel)
Sbuchiamo nella vasta area del Muro del Pianto (o Kotel, come lo chiamano gli ebrei: il muro occidentale del tempio) e della Spianata delle Moschee, tutte e due lì, uno sotto all’altra. Visitiamo il Muro indossando una Kippah posticcia che viene distribuita appena prima di approssimarvisi. Contrastano la solennità di chi, seduto o in piedi, con la tipica "divisa" ebraica e non, poggia dondolante il capo al muro in preghiera e il festoso frastuono a pochi metri di distanza provenienti da un paio di Bar Mitzvah in corso. Vista la lunga coda, lasciamo la Spianata per il nostro ritorno a Gerusalemme alla fine del viaggio.
Ci rituffiamo nel suq per pranzare in un localino tipico e alla mano dove abbiamo il primo approccio col cibo locale, che costituirà giocoforza la nostra dieta per tutta la durata del viaggio: riso, spezie varie, hummus, insalatine, Mansaf, yogurt, falafel  e succhi vari rigorosamente analcolici :) Notiamo la singolare “usanza” degli arabi di Gerusalemme di tenere al muro di abitazioni e negozi molte gabbiette con uccellini canterini. Chiedendo a un barbiere di fronte al nostro Hotel anche lui con la gabbietta al muro, mi spiega che questi sono una particolare tipologia di uccellini diversi dai canarini e che il Governo Israeliano vieta di tenere in gabbia.  “Quindi in questo momento …” gli dico ridendo “tu saresti fuorilegge” … e lui, ridendo, annuisce. Certo l’immagine di tutti questi uccellini che cantano nelle loro gabbie mi risulta subito molto emblematica di questo popolo.
Finito di pranzare riprendiamo la Via Dolorosa fino alla Porta dei Leoni e da lì sbuchiamo al Cimitero Arabo, lasciato purtroppo all’incuria e alla trascuratezza. Da qui, anche, si gode di un bel panorama su tutta la città e sul dirimpettaio Cimitero Ebraico sull’altro colle. Una rapida sosta rigenerante all’ombra di un albero e si riparte fino all’Orto del Getsemani con l’adiacente Grotta e Chiesa, dove si sta celebrando messa in italiano.
Il Muro della vergogna
Rimontiamo sulla Mahmoud-mobile che è venuta a prelevarci e ci spostiamo nella periferia cittadina fino ai piedi del Muro che separa la città dai suoi sobborghi arabi. Qui l’impatto è abbastanza forte, è il primo imponente segno della segregazione palestinese davanti a cui ci troviamo. Scatta automatica in tutti l’indignazione  che sfocia nei primi animati dibattiti interni al gruppo (ovviamente sempre presenti durante tutto il viaggio) e, personalmente, la profonda e sincera VERGOGNA verso il genere umano.
Percorriamo l’altissimo muro per un tratto in salita, salutiamo e ci soffermiamo con qualche bambino che gioca in strada, ci saluta e ci dà il benvenuto (tutti gli arabi indistintamente ci daranno il benvenuto durante tutto il nostro viaggio). Arriviamo così al Cimitero Ebraico sul colle opposto a quello arabo di poco prima. La vista della città e di tutta la Spianata delle Moschee è qui ancor più suggestiva.
Luna piena a Gerusalemme
Torniamo in hotel per una doccia ristoratrice e poi ceniamo al vicino ristorante Al Azhar (Le rose) dove incontriamo altri ragazzi di VDT impegnati in Palestina e Cisgiordania (e che rivedremo nei giorni seguenti) e Dario, sempre di VDT, che ci farà da cicerone per tutta la nostra permanenza nella Striscia di Gaza. Sarà la stanchezza, le poche ore di sonno e le tante ore sotto il sole battente, ma non mi sento proprio al 100%, quindi sono tra i primi a ritirarsi a malincuore e guadagnare il letto per una più corposa dormita. La finestra della nostra camera mostra un suggestivo skyline di Gerusalemme Est sotto la luna piena.