VENERDI' 26 APRILE
E’ il grande giorno: si va a Gaza! Credo che l’opportunità di entrare nella Striscia di Gaza e proprio a Gaza
City sia stata la vera molla che abbia spinto tutti noi ad aderire a questa
“missione” … almeno lo è stato per me.
Valico di Erez |
Passaggio nella Striscia |
Alla fine del percorso giungiamo al primo dei check-points palestinesi, gestito da Al Fatah, di tutt'altra portata rispetto all'imponente valico israeliano; ha più che altro
le sembianze di un piccolo cascinale, ma provvisto di baretto dove mi spingo,
vista l’attesa, a prendermi un bel bicchiere di caffè locale (caffè
turco) seguito da quasi tutto il gruppo. L’aroma di cardamomo ci
inebria e l’impatto con la gente palestinese è dei migliori, tutti sono gentili, ci salutano o ricambiano il nostro saluto e TUTTI indistintamente non
mancano (e non mancheranno nei due giorni a seguire) nel darci il loro consueto
“Welcome in Palestine!”
Montiamo a gruppi di 4/5 su dei taxi e percorriamo lungo la
strada polverosa un altro chilometro scarso che ci separa dal terzo ed ultimo
check-point, quello gestito da Hamas, ancora più sui generis del precedente, dove ci accoglie in pompa magna quello che
poi scopriamo essere il Mukhtar (capovillaggio) di Um Al Nasser, il contiguo villaggio dove
ci recheremo l’indomani per la visita al primo centro realizzato da VDT.
Sbrigati i consueti controlli montiamo su un vero e proprio bus di linea che ci
attende e si uniscono al gruppo Fatima
(giovane direttrice del Centro per l’Infanzia), suo fratello, Nahed (la assistente sociale) e l’ingegnere
Abu Karim (che ha seguito i lavori
del Centro) i quali ci accompagneranno passo passo in tutta la nostra
permanenza nella Striscia.
Siamo ufficialmente all'interno della Striscia! … come ho letto
da qualche parte: “La più grande prigione
del mondo” :(
Il Bus parte addentrandoci in uno scenario che si fa via via sempre più desolato e dove
ben visibili sono i segni del disagio, le bombe e ogni altra sorta di ordigno caduto dal cielo e non
solo. La nostra presenza non passa ovviamente inosservata, complice il bus
“turistico” sul quale viaggiamo e, credo, la non abitudine dei locali a
ricevere visite; fatto sta che tutti immancabilmente ci seguono con lo sguardo al
nostro passaggio. Noi salutiamo tutti dal bus e tutti ricambiano il saluto.
Raggiungiamo il nostro Beach Hotel – Orient House, a conti fatti un Hotel di
discreto lusso con camera provvista di ogni comfort e vista mare direttamente
sulla spiaggia! Sinceramente non era quello che mi aspettavo venendo a Gaza : ) Sulla parte alta della facciata esterna, però, anche l’Hotel
porta i segni delle ostilità con dei vetri rotti e alcuni fori nel muro. Il tempo di poggiare lo zaino e darsi una rinfrescata che ci ritroviamo già all'entrata per dare il via alla nostra agenda piena di impegni. Altri “internazionali” prima di noi sono stati qui, altri ne
arriveranno, ma dentro di me (e credo anche in tutti gli altri del gruppo)
aleggia una particolare eccitazione, una sorta di spirito pioniere che mi
inorgoglisce e a allo stesso tempo mi emoziona.
Stadio di Gaza City |
Rimontiamo comunque sul bus e, anche se lo “spettacolo” appena
visto non agevola, ci fermiamo al ristorante Thailandi dove, a dispetto del nome, servono
esclusivamente i consueti piatti locali e dove io mi butto senza indugio su un sacrosanto shawarma. Davanti
al cibo viviamo un bel momento di convivialità, il nostro gruppo si cementa
ulteriormente anche grazie ai nostri amici palestinesi che conosciamo un po’
meglio sfruttando l’inglese, quando possibile, che comunque è molto diffuso anche e
soprattutto tra i più giovani. Io per non sbagliare e per meglio immedesimarmi
comincio a impratichirmi anche con l’Arabo : ) Anche
i giovani camerieri, molto modaioli, mostrano molto interesse e ci scattano delle foto.
Finito di pranzare percorriamo in bus la Striscia lungo le vie
interne passando per Jabalya, il
campo profughi più grande e che all'atto pratico è oggi un vero e proprio
villaggio che conta circa 170.000 abitanti. Raggiungiamo l’estremo sud
arrivando a Rafah e all'omonimo valico,
frontiera internazionale con l’Egitto. La zona è da sempre comprensibilmente “calda”,
nonché teatro dei numerosi tunnel sotterranei lungo i quali passa
clandestinamente ogni sorta di mercanzia, materiale da costruzione e bene di
sostentamento (si dice perfino interi camion!) e le cui uscite in superficie
vengono agghindate a serre e vivai. Scendiamo quindi
solo pochissimi minuti per qualche foto veloce, ma sufficienti affinché intorno
a noi si raduni una folla festante di bambini dai quali veniamo magicamente
circondati senza quasi accorgerci. Li salutiamo e battiamo il “5” (forma di saluto molto in
voga soprattutto tra i bambini i quali rispondono sempre molto energicamente :
) ) e riguadagniamo il bus quando la folla è diventata ormai quasi un corteo che
ci saluta gioioso rincorrendoci mentre ci allontaniamo.
Altra circostanza che ci balza all'occhio è come all'interno delle comunità arabo/beduine/palestinesi la presenza di
bambini e in generale di giovani fino ai 20 anni sia nettamente preponderante. Automaticamente
ci si chiede che sviluppi potrà mai avere un tale contesto nel quale un popolo viene
sempre più segregato territorialmente mentre, un po’ in diretta risposta e un
po’ per esigenza, questo di pari passo aumenti esponenzialmente di numero.
In spiaggia |
Tramonto nella Striscia |
In Hotel ci buttiamo in doccia per poi uscire rigorosamente in
gruppo tutti insieme e raggiungere una pescheria conosciuta
da Dario dove ceniamo direi lucullianamente ovviamente a base di pesce. Per
quel breve percorso che separa l’Hotel dalla pescheria la
nostra “estraneità” è evidente e siamo l’attrazione di tutti. Ma anche qui è una curiosità più che
altro divertita, ricca di saluti e sorrisi. Qualche momento di empasse per qualcuno di noi nell'udire quelli che sembrano degli spari ripetuti per poi realizzare
(tranquillizzandoci) che altro non sono che fuochi d'artificio celebrativi per festeggiare
i numerosi matrimoni che si tengono nei locali del lungomare ... alla faccia
dell’embargo e della segregazione! : ) Mentre mangiamo alla pescheria la luce
va via un paio di volte, ma Dario dice che da queste parti è normale che
accada.
SABATO 27 APRILE
Sempre di buon mattino montiamo sul bus e ci rechiamo a Um Al Nasser, villaggio beduino proprio
a ridosso della Buffer Zone (area
cuscinetto non meglio definita tra i territori Palestinesi e i confini
israeliani), dove visitiamo il primo dei progetti di VDT, il Centro per l’Infanzia anch'esso oggetto
nei mesi passati di un bombardamento che l’ha risparmiato per solo una manciata
di metri.
Col Mukhtar di Um Al Nasser |
Prima però visitiamo il Centro
per l’Infanzia: il nostro bus passa quasi a fatica tra gli stretti sterrati
e le baracche del villaggio, soffermandosi e scaricandoci dapprima in aperta campagna proprio al limite della Buffer Zone, oltre il
quale, ci dicono, chiunque si incammini è passibile di essere sparato a vista. Il
muro e le torrette israeliane sono infatti lì davanti a noi, a solo una manciata scarsa di chilometri. Scendiamo con molta cautela e scattiamo
qualche foto in compagnia, manco a dirlo, di un gruppo di ragazzini del
villaggio che subito si sono radunati attorno a noi. Trovarsi lì in quel luogo sapendo di essere sorvegliati a (breve) distanza in ogni nostro movimento dà
una certa inquietudine e ancor di più pensare che questa è la realtà quotidiana
in cui gli abitanti del villaggio (ma tutti i palestinesi) sono costretti a
vivere.
Arriviamo al Centro, col portone ancora chiuso, mentre i bambini
stanno lavorando all'interno. Qualche altro fuori dalla scuola come di
consueto si è già raccolto ai piedi del nostro bus e si avvicina prima
circospetto e poi sorridente, salutandoci. Si apre il portone della scuola e ci
accoglie Fatima, giovane direttrice
già incontrata il giorno prima; all'interno regna inaspettatamente ordine e
tranquillità. La scuola è come una piccola corte, una
piccola oasi di pace con un patio centrale con
qualche gioco e tutt'intorno le aule, i bagni e le altre stanze.
Le maestre
sono tutte donne e tutte in rigoroso Hijab nero, alcune con una fessura solo per chi occhi altre con l’intero viso scoperto. I bambini sono in fila, ordinati e scrupolosi nelle loro impeccabili uniformi, tenendosi l’uno dietro l’altro e seguendo i dettami delle maestre.
Altri sono intenti a lavarsi nei lavandini sempre sotto l’attenta supervisione
di un’altra maestra. Inizialmente rimango rispettoso dei “ruoli” e dell’ordine
salvaguardato dalle maestre, ma poco dopo mi è impossibile non unirmi ai bimbi per giocare, come del resto tutto il gruppo, e visitare tutto il Centro. In
definitiva, non si capisce bene CHI faccia giocare CHI :)
Al Centro per l'Infanzia |
Rimaniamo a lungo al Centro per poi fare una
breve visita anche al vicino bacino di acque nere di cui sopra, avvolto
da un comprensibile tanfo, e al suo
impianto di “depurazione” che altro non è che un sistema di scolo a discesa
delle acque in otto vasche naturali di altezza via via decrescente e i cui
residui liquidi vengono poi nuovamente sotterrati in un’altra area vicina. Da un lato
è ammirevole la dedizione e l’orgoglio con i quali ci viene spiegato il funzionamento dell'impianto, dall'altro è evidente come il lavoro di “depurazione”
dell’acqua sia reso abbastanza vano nel lungo periodo dall'ulteriore inquinamento della falda acquifera sottostante. Ma anche in questa circostanza
non c’è alternativa :/
Ritorniamo al Centro dove i bambini hanno nel frattempo finito
di lavorare e sono tornati a casa, e pranziamo con la specialità tipica locale,
ovvero un abbondante e saporito Maqluba; ovviamente le femminucce pranzano
in una stanza con tutte le maestre e noi ometti, insieme al Mukhtar e tutti i suoi più stretti
collaboratori, in un’altra.
L’agenda giornaliera è ancora densa di appuntamenti, quindi lasciamo il Centro salutando il Mukhtar e qualche bambino che ora
ritroviamo a giocare in strada e andiamo in
visita ad una famiglia di coltivatori/contadini
non lontani, sempre a ridosso della Buffer
Zone. Il capofamiglia ci
spiega come, anche qui, le condizioni di vita e di lavoro siano molto
difficili. Il governo israeliano non permette di coltivare piante di altezza
superiore ai 60 cm (anche) per avere una migliore visuale e controllo. Gli
stessi ulivi, rigogliosi in quest’area di mondo, vengono meschinamente falciati (quando non bruciati) in tutte le terre arabo/palestinesi, favorendo oltretutto la loro
desertificazione. Ovviamente anche qui vige (come dappertutto) il
consueto divieto ad inoltrarsi troppo all'interno della stessa Buffer Zone, pena lo sparo a vista. Il
problema è che il limite consentito è molto aleatorio e molto a discrezione
dell’esercito israeliano, con le conseguenze che si possono immaginare. Tutto
questo a meno che questi non decida di entrare direttamente
nelle case (solitamente senza bussare né troppi complimenti) come, ci dice sempre
il capofamiglia, è avvenuto spesso dal 2001 a questa parte. Qui fu anche attivo Vittorio “Vik”
Arrigoni che lui ricorda ovviamente in modo molto riconoscente e appassionato insieme
a tutti noi.
E’ pomeriggio inoltrato quando ritorniamo a Gaza City per
l’ultimo incontro della giornata, quello con l’Associazione Pescatori, con
cui anche collaborava Vik, anche loro
ridotti ai minimi termini dagli embarghi e dai veti israeliani. In particolare a loro non è concesso addentrarsi
nelle acque marine oltre le 3
miglia (cifra progressivamente ridotta negli anni in
modo totalmente discrezionale da Israele dopo gli Accordi di Oslo senza
la ferma opposizione di alcuno stato straniero), distanza palesemente irrisoria
al fine di procacciarsi battute di pesca realmente fruttifere. Anche qui il
rischio è ovviamente lo sparo a vista da parte delle vedette israeliane che
vigilano in mare aperto e negli ultimi anni già diversi pescatori hanno incontrato
la morte o sono stati feriti. Il conseguente risultato è che i
pescatori e la loro attività sono in ginocchio con la paradossale necessità di
importare (in
prevalenza dall'Egitto) anche e perfino il pesce!? Ci
sembra una storia ormai ricorrente, seppur udita in ambiti diversi. Siamo evidentemente molto
stanchi dopo una lunga giornata densa di incontri e spostamenti, dopo aver
parlato coi pescatori direttamente al porto ed esserci riuniti in una stanza
coi loro rappresentanti sindacali arriva il momento delle foto di gruppo e dei
lunghi, sentiti e a tratti emozionanti saluti tra strette di mano, baci e forti abbracci.
Murale per Vik a Gaza |
Uscendo dal porto, sul muro all'altro lato della strada proprio di fronte al cancellone d’ingresso campeggia un grande murale raffigurante Vik con Handala; l’anno di morte è barrato e a
fianco qualcuno ha scritto al suo posto “ETERNAL”.
Rientriamo all'Hotel per una sacrosanta doccia rigeneratrice e
un po’ di relax prima di ritrovarci per la cena. Alla finestra contemplo la
spiaggia e il mare sotto di me all'approssimarsi del tramonto quando si
affaccia dalla stanza di fianco Gilberto. Rapido consulto e, in barba alle
disposizioni interne, decidiamo di scendere e fare due passi in spiaggia. Rientriamo
appena in tempo per assistere, nel cortile dell’Hotel, ai festeggiamenti (con
consueti spari pirotecnici) per l’ennesimo matrimonio che verrà festeggiato nel
salone serale (l'Orient House)
e all'arrivo della sposa che, prima di scendere dall'auto, assiste alla Dabka (danza folkloristica popolare maschile) dello
sposo insieme agli altri uomini e ai musicisti in abiti tradizionali. Assistere
al via vai di invitati che sostano nel cortile è di per sé uno spettacolo e,
naturalmente, noi siamo oggetto di simpatica curiosità per i più piccoli, anche
loro tutti impeccabili nei loro completi da festa.
Radunati tutti all'orario convenuto, muoviamo
sempre in gruppo verso un ristorante vicino, abbastanza chic e sempre a ridosso
del mare; un cartello ben visibile all'entrata richiede gentilmente "No weapons please". Cena molto soddisfacente e piacevole serata "defatigante" in gruppo. Rientrati all'hotel ci si ferma tutti nel cortile ad assistere ancora al caotico commiato
degli invitati alle nozze. Siamo stanchi ma inconsciamente credo nessuno
abbia veramente voglia di andare a dormire. L’indomani lasceremo Gaza e,
poggiando la testa sul cuscino, un po’ me ne rammarico.
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